Penultima domenica dopo l’Epifania
«Poi disse a lei: “I tuoi peccati sono perdonati”. Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: “Chi è costui che perdona anche i peccati?”. Ma egli disse alla donna: “La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!”» (Lc 7, 48-50)
Gesù comprende bene cosa questa donna ha nel cuore. Non il desiderio di apparire che muoveva il fariseo, non le obiezioni teologiche nelle quali poi si arroccano i presenti, non il timore di essere giudicata che pur pesava nello sguardo di tutti. A lei pesa il suo peccato. Non sopporta più la sua vita sbagliata. Chiede solo il perdono che sa di non meritare, ma di cui è sicura dopo aver incontrato e ascoltato Gesù. Per questo guarda solo Lui, il resto non le interessa. E diventa, senza immaginarlo, il prototipo del discepolo: colui che ha occhi anzitutto e solo per Gesù, che lo guarisce e lo salva.
Giornata mondiale del malato
«Non è bene che l’uomo sia solo».
«Non è bene che l’uomo sia solo» (Gen 2,18). Fin dal principio, Dio, che è amore, ha creato l’essere umano per la comunione, inscrivendo nel suo essere la dimensione delle relazioni. Siamo creati per stare insieme, non da soli. E proprio perché questo progetto di comunione è inscritto così a fondo nel cuore umano, l’esperienza dell’abbandono e della solitudine ci spaventa e ci risulta dolorosa e perfino disumana. Lo diventa ancora di più nel tempo della fragilità, dell’incertezza e dell’insicurezza, spesso causate dal sopraggiungere di una qualsiasi malattia seria.
Fratelli e sorelle, la prima cura di cui abbiamo bisogno nella malattia è la vicinanza piena di compassione e di tenerezza. Per questo, prendersi cura del malato significa anzitutto prendersi cura delle sue relazioni, di tutte le sue relazioni: con Dio, con gli altri – familiari, amici, operatori sanitari –, col creato, con sé stesso. È possibile? Si, è possibile e noi tutti siamo chiamati a impegnarci perché ciò accada. Guardiamo all’icona del Buon Samaritano (cfr Lc 10,25-37), alla sua capacità di rallentare il passo e di farsi prossimo, alla tenerezza con cui lenisce le ferite del fratello che soffre.
In questo cambiamento d’epoca che viviamo, specialmente noi cristiani siamo chiamati ad adottare lo sguardo compassionevole di Gesù. Prendiamoci cura di chi soffre ed è solo, magari emarginato e scartato. Con l’amore vicendevole, che Cristo Signore ci dona nella preghiera, specialmente nell’Eucaristia, curiamo le ferite della solitudine e dell’isolamento. E così cooperiamo a contrastare la cultura dell’individualismo, dell’indifferenza, dello scarto e a far crescere la cultura della tenerezza e della compassione.
Gli ammalati, i fragili, i poveri sono nel cuore della Chiesa e devono essere anche al centro delle nostre attenzioni umane e premure pastorali. Non dimentichiamolo! E affidiamoci a Maria Santissima, Salute degli infermi, perché interceda per noi e ci aiuti ad essere artigiani di vicinanza e di relazioni fraterne.
Roma, San Giovanni in Laterano, 10 gennaio 2024 FRANCESCO
Pellegrinaggio domenica 11 febbraio